“Le persone normali sanno cosa fare e io no.”
È quello che mi ha detto un cliente qualche tempo fa.
Vuole cambiare lavoro (e vita), sta facendo tutto quel che serve ma una transizione di questo tipo richiede molto più tempo di quello che crediamo, sia affinché le cose succedano sia affinché ci sentiamo a nostro agio in un andamento ondivago e non lineare.
A essere realistici, una transizione spesso si compie in un arco temporale di anni, non mesi, non giorni.
E i confini non sono mai netti, non è che ad agosto ‘25 sei così e a gennaio ‘26 sei colì.
Nel mio caso, la mia transizione professionale è formalmente iniziata a febbraio ‘23, quando mi sono iscritta alla scuola di coaching, ma l’idea germinale era lì da molto prima.
Le radici, infatti, non erano solo nell’ambito professionale.
Però ci viene più facile parlare di transizioni lavorative: parlare di lavoro è il pretesto che ci consente di parlare di noi e di come cambiamo senza sentirci troppo vulnerabili.
Perché stare sulle soglie è scomodo e faticoso.
Le soglie sono quell’un po’ dentro, un po’ fuori
quel né carne né pesce,
quella vertigine che arriva quando sei in bilico e non sai dove guardare.
È la vertigine di chi sotto sotto sa che l'obiettivo di toccare terra, di dire “ah finalmente”, è un’illusione che ci si racconta per renderci sopportabile la traversata.
La nostra cultura ha un problema serio con l'incertezza.
Tutto deve essere definito, categorizzato, risolto.
Non riesco a capire cosa fare —> sono indeciso
Sento che devo cambiare qualcosa —> sono instabile
Ho cambiato idea —> sono incoerente
Invece di vedere i periodi di cambiamento come fasi evolutive necessarie, li interpretiamo come fallimenti del nostro carattere o della nostra capacità di gestire la vita.
Ci sono solo pochi casi socialmente accettati dove va bene prendersi del tempo per cercarsi.
Burnout, l’unico caso in cui è ok fermarsi e non lavorare per un po’, finché non arriva qualcuno a dirti che è peccato che non vuoi tornare al tuo vecchio lavoro o a stupirsi se torni nel tuo vecchio lavoro.
Genitorialità, “però sbrigati a capirti che non te l’ha detto nessuno di fare un figlio”.
Lutto, e anche qui fai in fretta a ripigliarti “che la vita va avanti.”
Se sei qui anche tu, sappi che non sei un problema da risolvere, non sei tu che “non funzioni”, non ti si è inceppato nessun ingranaggio.
È una componente inevitabile di chi ambisce ad abitare l’esistenza con presenza e intenzione.
Solo che non ci hanno insegnato a stare su queste soglie, anzi.
Dicevamo sopra: parliamo di transizioni lavorative, perché il lavoro è la parte più visibile ed è quella dove le condivisioni sono più legittime e legittimate.
Ma in realtà spesso sono più che altro transizioni di vita, e molto spesso sono indipendenti dall’età perché più legate al vissuto individuale.
Nella mia esperienza di lavoro a stretto contatto con persone in fase di cambiamento ho individuato 7 categorie di transizioni.
Ci tengo a condividertele perché nominare le cose vuol dire farle esistere ed è il modo migliore per iniziare a maneggiarle.
Potrebbe essere che, nel tuo caso, ci sia una sovrapposizione di diversi elementi.
È una bella cosa: per fortuna sei una persona, che vuol dire che hai tante dimensioni e tanti driver.
Le 7 transizioni
1. Transizione dell’identità: chi sono io oltre al mio ruolo?
È quella che arriva quando il lavoro che fai non riflette più la persona che sei diventata.
Può accadere dopo 2 anni o dopo 20 di lavoro - dipende dalla tua storia, dal tuo ritmo e da quanto il contesto in cui sei ti permette di esprimere la tua autenticità.
2. Transizione del significato: qual è il mio contributo?
Emerge quando si consolida una certa maturità emotiva e spirituale e ci si accorge che il successo tradizionale non basta più.
Alcune persone la vivono dopo anni di carriera intensa focalizzata sul “cosa faccio” e sul “come avanzo” ma senza un “perché lo faccio” che sia sufficientemente forte per sostenere gli altri due.
3. Transizione dell’integrazione: come faccio coesistere tutte le parti di me?
Arriva quando realizzi che la frammentazione che si è creata fra le tue identità - partner, professionista, persona singola - non è più sostenibile.
Non ce la fai più a cambiare vestito in base al contesto in cui sei e vuoi tornare a sentirti una persona intera.
4. Transizione della saggezza: come trasmetto ciò che ho imparato?
Nasce quando realizzi che sai tantissime cose, che quelle cose possono essere utili a qualcuno e che tenerle tutte per te sarebbe fare un torto al futuro.
Te ne puoi accorgere perché l’idea di insegnare e di fare da mentore ti fa sorridere e ti apre il cuore.
5. Transizione della reinvenzione
Arriva quando senti di aver esaurito il potenziale di crescita nel percorso che stai facendo.
Senti un’energia inspiegabile quando pensi alla parola “ricominciare” e provi invidia per chi ha il coraggio di cambiare radicalmente.
6. Transizione del portfolio: come diversifico?
È tipica delle persone che hanno tanti interessi e a cui una singola dimensione professionale sta stretta.
È un po’ come un mosaico: da vicino le tessere sembrano scombinate ma con un passo indietro l’immagine complessiva diventa nitida.
La portfolio career è quella di chi fa un po’ di consulenza, un po’ di mentoring, un po’ di insegnamento.
7. Transizione della legacy
È quando il focus si sposta dal costruire per te al costruire per chi viene dopo.
Se a sentirla così può facilmente far pensare a persone di età alta, è però una transizione che emerge presto in chi ha vissuto esperienze molto profonde o costruito qualcosa di importante.
Riflessione finale
E quindi che ce ne facciamo di tutta ‘sta tassonomia?
Per usare una frase che ho scoperto questa settimana, penso possa essere utile perché ci dà “freedom in a frame”, libertà in una cornice.
Se c’è qualcosa che ti può servire inizia da qui come base di partenza per costruire su di te.
Ci sentiamo presto.
Nel frattempo, fai scintille ✨
Approfondimenti
Le portfolio career sono le mie preferite perché danno pace, legittimazione esterna (quella interna è sempre e solo compito nostro) e narrazione a chi si è scoperto “multipotenziale” grazie a Emilie Wapnick ma non sapeva bene cosa farsene della mutlipotenzialità.
Sono anche carriere a prova di futuro, un futuro da leggersi con una prosettiva di longevità e anche di Longevity Career, dove sempre di più la nostra occupabilità sarà negoziata più volte nel corso del tempo.
🙋🏼♀️ Sono Margot Deliperi: Career Coach, Formatrice, Consulente di comunicazione.
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Bellissima newsletter oggi, io sono proprio in quel momento lì ma con tutti i miei sensi di colpa. Credo ci sentiremo presto!