Quando abbiamo perso il senso del confine?
L’ho chiesto l’altra sera a due amiche, abbiamo trovato 3 tracce che ci sembrano sensate.
La cultura italiana, che non agevola sicuramente il fare la cosa giusta, anzi, ti fa pure sentire idiota se ambisci a far funzionare le cose.
La rassegnazione, quel “tanto non cambierà mai niente”, il male che serpeggia e paralizza ogni azione
L’individualismo, l’altro grande male contemporaneo che ti illude di poter essere una super-persona ma dopo averti drenato l’anima ti lascia stramazzare nella stanchezza e nella solitudine.
Parlando di individualismo, riprendo le preziose parole di Michela Murgia quando diceva che:
le cose che contano le abbiamo sempre fatte insieme.
Dalle mobilitazioni di piazza di questi giorni, in cui finalmente le persone si stanno prendendo lo spazio pubblico, intravedo una scintilla di rivoluzione (di speranza?) e di riflessioni individuali che diventano coscienza e azione collettiva.
Per farlo, è imperativo che ci mettiamo a tavolino e stabiliamo i confini di cosa è accettabile e cosa non lo è più.
Preparati, perché bisogna mettersi scomode e accettare di dare fastidio.
Cose non accettabili:
che un capo ti urli le peggio cose, o che semplicemente ti manchi di rispetto
che un collega ti diffami o screditi il tuo lavoro
che qualcuno creda di avere un diritto su di te, sulle tue cose, soldi, amici, movimenti, hobby, passioni
che qualcuno provi a manipolarti, a sminuirti, a confonderti
che qualcuno ti tratti male
Dov’è il confine?
Potresti chiederti dov’è il confine di queste cose, soprattutto quando gli episodi ti sembrano di poco conto.
Il confine è come stai tu e quello che senti.
Quello che senti potrebbe essere diverso da quello che sai, magari perché ti hanno insegnato a non far rumore o a lasciar correre “per il quieto vivere”.
È nel silenzio, in quegli occhi bassi a capo chino, in quell’impotenza rassegnata che vivono ancora oggi le oppressioni sistemiche.
È nel mettersi scomode, nell’attivarsi, nel prendersi spazi e microfoni, nel passare il microfono, nell’alzare la testa che possiamo resistere.
La postura della resistenza è quella di chi prende posizione, anche se è scomoda.
È nell’andare da HR, nel documentare le cose che vedi - anche se non capitano a te -, nel supportare quel collega in difficoltà, nel chiudere un rapporto che non fa per te.
E ogni volta che ti senti sola e che la scomodità si fa sentire, pensa che:
“Una tempesta alla fine sono solo milioni di gocce d'acqua, ma col giusto vento.”
Michela Murgia