Molti dei blocchi lavorativi che ho visto - e che ho vissuto - succedono quando aspettiamo che qualcuno ci dia il permesso di fare qualcosa e ci dica che siamo prontə.
A me è capitato per un sacco di tempo quando ero anagraficamente e professionalmente junior.
Nonostante abbia avuto abbastanza velocemente ruoli di responsabilità anche economica, mi sentivo così piccola, così non-ancora-competente,
così “cosa vuoi saperne tu che sei arrivata ieri” che cercare conferme dall’esterno mi sembrava non solo la cosa più giusta, ma anche la cosa più saggia da fare.
Solo che il confine tra prudenza coscienziosa e timore referenziale è difficile da individuare e non sapersi muovere attorno a lui può ostacolarti al lavoro.
Anche, e soprattutto, se non sei più junior.
Perché stare in ufficio con l’attitude di questo gattino qui sotto può fare sicuramente tenerezza, ma sono certa che non è la sensazione che desideri comunicare quando sei a lavoro.
Perché mi succede?
1. Il sistema educativo e familiare sicuramente c’entra molto - o almeno c’entra col sistema che vigeva negli anni ‘80-’90.
Pensa a quando c’erano le verifiche in classe: dal voto ricevuto, quindi da un fattore esterno - e al tempo non contestabile - dipendevano la media scolastica, le promozioni o bocciature, il conseguente mood casalingo nei giorni successivi.
Sempre dall’esterno dipendevano anche le valutazioni per i passi successivi, l’ammissione a questo o a quel corso, l’accesso a un premio o a una borsa di studio.
Il fatto poi che non fosse né contestabile tantomeno negoziabile ha fatto sì che perdessi fiducia nella tua capacità di giudizio e valutazione.
In questo contesto, ad alcune persone (eccone qui una 🙋♀️) è venuto automatico sovrapporre e abdicare il proprio valore all’opinione altrui, con una meccanica che si scardina solo con fatica, pazienza e lavoro interiore.
2. C’è poi il paradosso delle competenze: se hai subìto le valutazioni e i giudizi dall’esterno è plausibile che tu abbia introiettato l’idea che #GliAltri siano sempre più competenti di te e di conseguenza siano più titolati a decidere.
Qui c’è una raccomandazione importante che ti faccio, ovvero di prestare attenzione ai “se x allora y”.
Perché dietro alcune frasi, anche corrette dal punto di vista linguistico e logico, ci possono essere delle finte correlazioni di causa-effetto.
3. Infine, uno dei punti più delicati è l’illusione della sicurezza.
Stando immobile ti senti apparentemente al sicuro:
“cosa mai può succedere di male se aspetto”
ed è anche una posizione comoda perché lasciare le cose come stanno toglie rogne e responsabilità.
Questa posizione apparentemente sicura è in realtà molto rischiosa perché è una trappola che aumenta di molto la tua vulnerabilità.
Infatti, quando nelle aziende arriva la malparata, che può essere un cambio di management, una crisi economica, o il malumore del padrone, i fanali si puntano subito su chi non prende l’iniziativa e sta in disparte.
E come ne esco?
Come sempre in questo spazio, una possibile via di uscita si trova scavando a fondo, e le risposte che diamo ad alcune domande sono uno strumento forte e solido per farcela.
Iniziamo:
Riavvolgi il nastro della memoria e torna ai momenti in cui dovevi avere il permesso di qualcuno per fare qualcosa.
Cosa succedeva in quel periodo?
E cosa c’è di diverso fra te in quel contesto e te adesso?Scendiamo ancora un po’ in profondità con una domanda personale, a cui rispondere con sincerità e soprattutto compassione per te.
Chi è davvero la persona di cui stai cercando il permesso,
chi è che deve legittimarti la tal cosa?
Perché non ci credo che è il tuo capo 🙃Se riuscissi a darti il permesso, cosa faresti di diverso da subito?
Ci leggiamo presto e nel frattempo fai scintille ✨
Sono Margot Deliperi: Career Coach, Manager e Formatrice.
Puoi conoscermi meglio su LinkedIn, nel mio Sito e in una call conoscitiva che può fare luce su alcune zone d’ombra che hai nel tuo lavoro e tornare velocemente a fare scintille.